Collaborazioni

CARLO FABRIZIO CARLI

Il tema che impronta in modo quasi esclusivo il più recente decennio della pittura di Fabio Massimo Caruso è la città contemporanea.
E all’artista, romano se non di nascita, certo di lunga adozione, la città interessa nella sua versione dilatata e finanche parossistica, ovvero la metropoli, o senz’altro la megalopoli, intesa quale smisurato organismo biologico in continua crescita e modificazione. Un organismo che riesce istintivo immaginare improntato a lineamenti multiculturali e multietnici, nello sgargiante rutilare, nel frenetico addizionarsi di colori, di forme, di impulsi vitali. Un meccanismo entropico, ove s’intenda l’entropia come processo di continuo accrescimento, ma non di illimitato disordine, perché anzi Caruso organizza con ferreo controllo la sua trama di segni, di concordanze, di allusioni struttive, senza perdere mai il filo dell’ordito. Esemplare mi sembra a tale riguardo la grande tela “Cresce la città” (2000), in cui il pittore dimostra di governare lo sgargiante rutilare, il frenetico sommarsi di colori, forme, impulsi vitali, mediante una serrata orditura di giaciture cartesiane, che descrivono piante ed alzati: si guardi pure, ad esempio, a È al centro (2007). Più asciutto e pittoricamente scandito, un dipinto come Il dialogo della città con la Scala Santa (2007) sembra perfino aprire, entro il percorso del pittore, una via operativa in direzione di una rigorosa astrazione geometrica.
Dal punto di vista del dinamismo cromatico e dell’indocile assetto compositivo, la pittura di Caruso – che dà il meglio di sé in tele di vaste dimensioni – rivela la sua discendenza dal Futurismo, movimento per antomomasia solare, estroverso, ottimistico; e soprattutto dal Boccioni della “Città che sale” (le stesse titolazioni delle tele del nostro artista risultando oltremodo eloquenti).
Meno tale discendenza appare evidente sul terreno della elaborazione pittorica, dove al vortice energetico boccioniano, Caruso preferisce una orditura di prevalenti giaciture cartesiane che, pure, alla fine, nel loro moltiplicarsi ossessivo, assumono una capacità disorientante, quasi
allucinatoria. La città del nostro pittore è, insomma – pur nella sintetica, anzi ideogrammatica, eppure già così indicativa, risoluzione formale – una città essenzialmente moderna, di impronta razional-novecentista, e in particolare, quando vi si afferma un’accentuata valenza cromatica, aperta semmai a ulteriori suggestioni postmoderne.
Questa impressione risulta rafforzata nelle tele in cui Caruso associa al colore ad olio l’impiego di tesserine dei mosaici in pasta ceramica (proprio quelli usati abitualmente nei rivestimenti dei bagni), per accrescere l’impressione della cadenza rigorosamente geometrica dei vani finestra del courtain wall. In questi casi – La città viene alla luce (2004/2006), ancora, Si distingue e Verso l’alto (2001) – i toni possono magari farsi talvolta più cupi e lunari. Al traboccare dell’empito energetico, in particolare dell’energia luminosa, è dedicata infine una vasta e impegnativa composizione come Fascio di luci (2002), dove la tessitura geometrica sembra irradiarsi e dissolversi in una sorta di sciame pointilliste.

Carlo Fabrizio Carli

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