Collaborazioni

ROBERTO GRAMICCIA

La trama e la luce

La trama della pittura di Fabio Massimo Caruso è come la vita. La vita è fatta di grandi accadimenti – una vocazione, la nascita di un figlio, una guerra, una rivoluzione, un capolavoro – e di accadimenti piccoli e piccolissimi. Gli uni sono attaccati agli altri in modo strettissimo. E non c’è verso di imporre gerarchie rigide di valori. Se ti alzi una mattina e hai la più grande delle illuminazioni della tua vita e poi, banalmente, inciampi in uno scalino può succedere di tutto. Anche il peggio. E allora quello scalino vale più di decenni di studio e di metodica applicazione.
Le grandi superfici dipinte di Fabio Massimo Caruso che alludono alla metropoli del contemporaneo occidentale o anche alla fitta rete della kasba di una ipotetica città turca sembrano afflitte da una indomabile voglia di colmare lo spazio. Un horror vacui che però non è banale esibizione di dettagli assemblati. Non è pura ridondanza. E’, piuttosto, consapevole allusione alla fittissima rete di relazioni materiali e immateriali che nella città, come nella vita, attraversano le nostre esistenze.
Come l’aurora che sorge è il titolo dell’opera recente (2009) che questo autore presenta alla Biennale d’Arte Sacra. E più di altre essa si attaglia allo spirito e al tema che questo anno la Biennale propone, perché delle otto Beatitudini del Discorso della Montagna di Matteo: “Beati i poveri in spirito, beati gli afflitti, beati i miti…” riassume l’essenza. Perché è dell’afflizione e del danno, dell’insulto e della mitezza, della ricerca della pace e dell’offesa che sono lastricate le strade delle città del mondo, in particolare delle città del mondo occidentale opulento, trasudante grasso e ingiustizia. E non è, poi, che le città dell’Oriente siano migliori. Spiritualità e caos vi si intrecciano, infatti, in un groviglio inestricabile e anche in quei luoghi forte è la dipendenza dai miti della ricchezza e del consumo.
Di tutto questo la pittura di Caruso si fa carico, esibendo la semplicità di un progetto che, tuttavia, è ardimentoso perché aspira a restituire i lineamenti di un rapporto sulla condizione umana.
E la beatitudine delle beatitudini finisce per essere l’accordo tonale dei colori, capace di profondere luce-pace all’insieme inestricabile delle linee che si incrociano e delle curve che piegano le geometrie dei rettangoli, obbedendo alla traiettoria circolare degli umori e al caso che, sempre in agguato, piega gli eventi sul profilo di imperscrutabili disegni.
Dai quadri di Fabio Massimo Caruso emerge una luce complessiva che dà sollievo. Un sollievo che pare dare conferma al piacere del vedere (e del sentire): “Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono”.
Scrive l’artista romano: “ La mia pittura è una musica talmente violenta e furiosa, da non darmi pace. E’ un impulso che vibra dal cuore al polso per diventare con la tela comunione totale, lei si presta fedelmente ad un gioco misterioso, ad un lavoro di sorprese e di dubbi (…) se la ricerca musicale dei Pink Floyd voleva dare alla sonorità anche l’immagine, il mio lavoro si cura di dare musica alla pittura”.
Fabio ha avuto un maestro di lusso, fra gli altri, forse il più importante. Questo maestro è un pittore a sua volta e uno scultore che non teme confronti. Parliamo di Tito e dell’insegnamento che questo piccolo grande uomo d’arte e di fede non fece mancare ad uno dei suoi allievi prediletti. E’ efficacissima la pagina nella quale Tito ricostruisce sinteticamente il processo di maturazione di questo artista che partendo da un atteggiamento mentale di una pittura agita “come se andasse alla guerra” arriva, col tempo, con la lezione del maestro e con la scuola della esperienza e della riflessione, a raggiungere : “un equilibrio costruttivo e lucido affidato ad una struttura compositiva all’apparenza geometrica; solo all’apparenza; una griglia che occhieggia con l’architettura. (…) subito risucchiata dall’imperio del colore che lievita. Colore tenero, luminoso e rorido che attesta l’equilibrio raggiunto e la tenerezza per la vita. Una pacificazione tra spirito riposato e cronaca dispersiva”.
Le parole di Tito sigillano un ragionamento che è insieme di tagliente lucidità e di commovente emozione. Lucidità ed emozione sono anche le qualità principali del lavoro del nostro pittore che pensa con il cuore e si commuove con il cervello. A ben guardare, ce n’è un’altra di qualità che vorrei segnalare. È la sua laboriosità instancabile, coniugata con il garbo dei modi che, come sempre accade nell’arte, si riflette nella trama della pittura che egli ci regala.

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